
Se mai doveste imbattervi nell’interlocutoria dialettale “’ndemo al bagno doman?” non aspettatevi l’immagine di una toilette, di un wc e tantomeno dei servizi igienici. Siete di fronte al cordone ombelicale espressivo che lega il popolo triestino al mare d’estate.
L’unicità di alcune affermazioni della parlata locale scatena un’analisi divertente sui luoghi dove prendere il sole, le pause pranzo in stabilimenti balneari neanche fossimo a Berlino durante la Guerra Fredda e nomignoli di una toponomastica da cartone animato.
Andare “al bagno” a Trieste fa in modo che questi luoghi diventino case di cura, in una talassoterapia che già a fine Ottocento l’Impero asburgico considerava fondamentale.
In tutto ciò, nel periodo che va da metà aprile a metà ottobre, il triestino, se ha tempo, va al mare. Se non ne ha, fa in modo di recuperarlo facendo slittare gli impegni e quelle necessità impellenti agli occhi di chiunque tranne che a lui. Sì, andare “al bagno” a Trieste fa in modo che questi luoghi diventino case di cura, in una talassoterapia che già a fine Ottocento l’Impero asburgico considerava fondamentale, da Grado ad Abbazia, passando per Portorose o Rovigno.
Negli anni Cinquanta e Sessanta la piscina del bagno Ausonia diventava il campo per i derby di pallanuoto. Triestina contro Edera, in versione estiva, davanti a centinaia di persone. Lo stesso bagno Ausonia che tentava di fermare i giovani che dalla terrazza di circa dieci metri si tuffavano guardando l’orizzonte, dando vita alle proverbiali clanfe, un singolare, e tipicamente adriatico modo per entrare in mare alzando la colonna d’acqua più grande possibile.
“El Pedocìn” scalda il cuore delle donne da un lato, degli uomini dall’altro. Si paga un biglietto che deve essere timbrato dall’obliteratrice posta all’entrata, in una sorta di sovrapposizione di regolamenti da trasporto pubblico. Il muro che lo divide portò a una sollevazione popolare qualche anno fa. Si era diffusa la notizia del suo abbattimento e la sezione femminile fece partire una petizione dai toni piuttosto accesi.

Uno stabilimento antico era il bagno Excelsior, dove leggenda narra che il triestino Claudio Martinuzzi, campione del mondo di pesca subacquea negli anni Ottanta in Brasile, infilzò la prima spigola della sua brillante carriera grazie a un piròn, vale a dire una forchetta. Oggi quella linea di sabbia barcolana è proprietà privata e Martinuzzi campione dimenticato da tutti.
Sempre a Barcola, quando la pineta venne piantata i triestini si facevano beffe dei piccoli alberelli, dimostrando una predisposizione al chiacchiericcio tipica delle genti di mare. “Ricordo che ridevano, io ero appena arrivato e non capivo il perché”, è espressione del fiorentino Fiorenzo Parmiani, che a due passi dal mare ha un laboratorio di cornici dagli anni Cinquanta. Dentro a questo mondo in miniatura si cammina tra modellini di navi in legno e pronte a salpare, ceramiche antiche e dipinti di Lojze Spacal, pittore triestino di origine slovena che venne mandato al confino dal regime fascista. Barcola però è anche “una magra procession de fioi e de veci che inveze de candel in man, i ga gelati”, parole e musica di Toni Bruna, triestino che intaglia i suoi talenti tra le mani e le note.
Jordi Ribas era un artista di strada che dalla Catalogna giunse qualche anno fa a Trieste a bordo della sua barca a vela. Di giorno strappava un sorriso ai più piccoli, vestendosi da pirata buono e suonando allegre melodie. Di sera invece viveva nella sua barca, ormeggiata nel porticciolo di Santa Croce. Venne a mancare qualche anno fa, abbandonato da tutti e da tutto. La sua barca rimase nel porticciolo per parecchio tempo, cullata da quella solitudine che s’impossessa delle genti di mare.
Durante l’estate sul tratto di costa chiamato Liburnia –tra le località Filtri e Canovella degli Zoppoli– sopravvive da tempo una colonia di uomini e donne che qui hanno realizzato l’utopia di una comune. Vi sono baracche in legno, fiori d’agave altissimi e messaggi che richiamano al rispetto per l’ambiente. Un mondo sospeso tra “mulattiere” del mare e tramonti troppo colorati per essere reali.
Sono luoghi nascosti. Dovrete cercarli e apprezzarli, per ciò che sono. Non sono stabilimenti comodi, né fatti per essere cambiati. Sono istantanee dell’intimità, niente di più.
di Nicolò Giraldi
illustrazioni di Jan Sedmak