Anche Trieste si ammanta di atmosfere noir e svela il suo lato più oscuro attraverso un format di visite ed eventi. “Trieste arcana” non è invenzione o ricerca del fantastico a tutti i costi, bensì il risvolto accessibile a tutti degli studi di Lisa Deiuri, ambassador di Promoturismofvg nonché appassionata di letteratura gotica e tradizioni locali, che ha ripreso una serie di leggende e storie popolari facendole rivivere in Cittavecchia insieme all’Associazione Guide Turistiche del Friuli Venezia Giulia.
Si tratta soprattutto di racconti orali tramandati nel tempo, che sono stati successivamente inseriti in antologie e piccoli libri a stampa. Spesso dal carattere moralizzante, le storie hanno a che fare in primo luogo con l’aldilà, con i divieti che circondavano i cimiteri disseminati sul colle di S. Giusto e con i fantasmi che lì inevitabilmente trovavano dimora.
Come dimenticare che fino al 1825 vicino alla cattedrale di S. Giusto –in quella che oggi è l’area dell’Orto lapidario– sorgeva il luogo di sepoltura per i cattolici? Lo rivela ancora la presenza della piccola chiesa di S. Michele al Carnale, che –come ci dice il nome– funse da cappella mortuaria fino al 1924 e venne liberata dalle ossa che lì erano state ammassate appena nel 1936. E allora è proprio in questi luoghi al calar della sera e complice la bella e soffusa illuminazione pensata per questi vicoli, che prendono corpo… la giovane sartina Ninetta, che per vanità e per gioco andò a rubare un lembo della veste di una sua bellissima coetanea posta sul catafalco a S. Michele e poi impazzì per ricucire alla legittima proprietaria il maltolto. O ancora, è durante la salita di Via della Cattedrale che si può sentire l’eco delle processioni della confraternita dei “Nobili del moccolo”, detta così perché avevano l’onore di portare il cero dietro il Santissimo, e scoprire le drammatiche vicende che coinvolsero a inizi Trecento la famiglia Ranfo che tentò di agguantare il potere creando una signorìa, ma venne bandita per sempre con ignominia dalla città. Risale invece all’Ottocento la storia di tale Antonio, i cui genitori morirono per aver varcato idealmente quella soglia che divide il mondo di qua e quello di là.


“Trieste arcana” non è invenzione o ricerca del fantastico a tutti i costi, bensì il risvolto accessibile a tutti degli studi di Lisa Deiuri.

Non può mancare il fantasma del nostro castello, il poco noto Babuder senza testa, che vaga di continuo per recuperare il tesoro che lui da buon baro e furfante ha nascosto tra il Cortile delle Milizie e i bastioni di S. Giusto. Se qualcuno dovesse incontrarlo e volesse avere indicazioni su dove trovare l’oro si prepari: pare che il Babuder parli mischiando triestino e catalano per ingannare chi ha di fronte. Oggi come allora il nostro fantasma è sempre pronto al raggiro per proteggere il suo bottino.
E un altro fantasma, quello di una fantomatica “dama bianca”, può comparire da un momento all’altro dietro qualsiasi angolo. Frutto della fantasia o dei fumi dell’alcol, che tra Cavana e Cittavecchia certo erano sempre ben presenti? In questo caso la vicenda si snoda tra le osterie e il cimitero ed è per metà chimera e per metà burla, ma la sua affascinante protagonista ci fa cogliere qual era lo spirito della zona, dove anche il vino pare essere enigmatico.
Era tra piazzetta Barbacan, dove si trovava la Trattoria all’Arco, e l’ormai scomparsa Osteria Al Pappagallo di Via dei Capitelli, che James Joyce aveva l’abitudine di bere l’Opollo di Lissa, “un vinello bianco traditore, che senza salire al cervello, mozza però le gambe”. Un vino del quale pochissimo sappiamo e sembra essere sparito insieme ai fantasmi di Cittavecchia.