
A Trieste tra stoccafisso e baccalà ci si confonde. Il primo –da “stocvish”, letteralmente pesce bastone– viene privato della testa, diviso in due e seccato all’aria fredda su delle rastrelliere, diventando appunto duro come un bastone. Il baccalà invece va sotto sale, lasciato all’aria solo in alcuni casi.
Comunque, di merluzzo essiccato si tratta, compagno di viaggio ideale di moltissime culture perché dura a lungo, è proteico e si trasporta bene. Originario dei mari del Nord, generazioni di viaggiatori e navigatori scandinavi, genovesi, veneziani, spagnoli e portoghesi l’hanno consumato avidamente ed esportato nel mondo.
Pare siano stati spagnoli e portoghesi a introdurlo nel menù triestino, e con successo se uno scrittore come Seume sostiene, all’inizio del 1800, nel suo “L’Italia a Piedi”, che anche a teatro la platea, ovunque si voltasse, “puzzava orribilmente di stoccafisso”.
Bianco, rosso e triestino: in città il “Vero Ragno” è mantecato
Gli over “anta” triestini ricordano il negozio di alimentari Kobal in piazza Garibaldi, oggi celebrato dal musicista Lorenzo Fragiacomo (incontratelo nelle vesti di “barista cantante” al Miti Cafè di Via Torrebianca) nel suo omonimo album.
Kobal era un simbolo della Trieste anni Settanta con la scritta “Vero Ragno” sulle tende delle vetrine, zeppe di stoccafissi il cui odore si spargeva in tutta la piazza. Perché Ragno? Perchè Ragnar è il nome di un eccellente produttore delle isole Loften norvegesi, sinonimo di qualità: merluzzi più grandi, carne più bianca e gustosa.
In bianco, alla marinara, in rosso, alla triestina… tante le ricette per apprezzarlo ma a Trieste il re del baccalà è quello mantecato, spalmato su un crostino di pane.
Per una vera esperienza da “insider” dovete fare tappa in un Buffet, paradiso dello snack di metà mattina.

Il migliore? Dipende dai gusti ma provatelo al Buffet Clai, di Via Foscolo. Il padre dell’odierno proprietario lo mantecava a mano ogni giorno, e sua madre reggeva il pentolone. Oggi si usa la planetaria a giri molto bassi per replicare quella manualità e mantenere la fibrosità tipica dello stoccafisso ragno, ammollato per almeno 24 ore e bollito per altre due. Si aggiunge solo olio extravergine di oliva, un pò d’acqua di cottura, sale e pepe per non coprire la qualità del pesce.
A poca distanza, in Via Carducci, c’è il Buffet L’Approdo, altra destinazione eccellente. La manteca è sempre in planetaria ma a giri più alti per renderlo più cremoso. Oltre a olio extra vergine d’oliva, sale e pepe, qui si aggiunge un aglio rosolato in padella. Attenzione però, lo servono solo il venerdì, giornata dedicata al pesce.
Diffidate da chi aggiunge patate, panna o latte, mascherano il gusto di uno stoccafisso non di qualità e un colore meno chiaro dovuto all’inclusione di pelle e altre parti scure della carne del pesce. Oltre a garantire più quantità.
Volete prepararlo a casa? A pagina 68 la ricetta, ma armatevi di grande pazienza, soprattutto olfattiva!