Flâneur è un sostantivo che non ha corrispondenza precisa in italiano, è colui che vaga oziosamente per le vie cittadine, emozionandosi nell’osservare il paesaggio. Una modalità perfetta per scoprire il fascino nascosto di Trieste, i particolari insoliti, che spesso dischiudono storie interessanti.
Si può cominciare dal Salone degli Incanti, già pescheria centrale e oggi sede di mostre temporanee. Unico edificio pubblico in stile Liberty, eretto nel 1913 su disegno dell’architetto Giorgio Polli, sembra essere una basilica piuttosto che un mercato e grazie al suo “campanile” (in realtà una gradevole soluzione estetica per nascondere il sistema di pompaggio dell’acqua marina usata dai venditori ai loro banchi ormai scomparsi) ha conquistato il nomignolo di S. Maria del Guato (il ghiozzo, uno dei pesci più diffusi del Golfo). La decorazione esterna propone nei clipei accanto alle grandi finestre un pullulare di granchi e aragoste, pesci e rane, mentre qua e là appaiono le prue dei bragozzi che solcavano le onde per portare i loro ricchi carichi a Trieste.
Per chi desidera continuare nella scia del Liberty locale la tappa successiva è senza dubbio Piazza Cornelia Romana, dominata dai vivaci colori di Casa Bussi (1904-1905, architetti Miani e Bussi), splendido esempio di modern style grazie al suo portone e alle cascate di girasoli e ghirlande che impreziosiscono la ricca facciata.
Ritornando verso Cavana ci si imbatte nella splendida insegna in ferro battuto della Farmacia ex Serravallo, contornata da due notevoli lampioni. La farmacia, aperta nel 1890, è stata resa celebre dall’assidua frequentazione di Italo Svevo, che qui veniva a comperare soprattutto il tonico ricostituente “Ferro China”, ancora disponibile tra gli scaffali disegnati dal milanese Carlo Maciachini.


“Vagare oziosamente per le vie cittadine è una modalità perfetta per scoprire il fascino nascosto di Trieste.”

Quando si cammina con il naso all’insù in Piazza Unità ci si imbatte in Mikez e Jakez (Michele e Giacomo), veri simboli della città, due paggi che ci guardano con benevolenza dalla torre dell’orologio del Municipio. Le statue in bronzo sono in realtà le copie dei due automi in zinco che hanno battuto ininterrottamente le ore dal 1876 al 1972. Gli amatissimi originali sono esposti all’ingresso del Castello di S. Giusto.
Girando solo lievemente lo sguardo a sinistra l’inequivocabile atteggiamento dei grandi telamoni che sorreggono il cornicione dell’ultimo piano di Palazzo Modello ha fatto popolarmente ribattezzare l’edificio “il palazzo degli scongiuri”.
Piazza Ponterosso è ricca di piccole curiosità a partire dalla fontana del Giovannino, così affettuosamente chiamata dalle venditrici ambulanti che tenevano anticamente i loro banchi di frutta e verdura intorno alla fonte e avevano l’abitudine di decorare la statua del puttino con fiori in occasione della festa di S. Giovanni.
Accanto alla fontana brilla l’azzurra facciata di Casa Treves, che ospitò al primo piano il Consolato del Regno d’Italia. Sul balcone in ferro battuto era posizionato lo stemma sabaudo con il tricolore e le manifestazioni d’italianità che si svolsero ai suoi piedi furono tanto numerose da far passare alla storia questo balcone come “il balcone degli applausi”.
Quantomeno singolari sono i quattro lampioni che ornano il Ponterosso. Arrivano da un monumento che non esiste più ed era stato innalzato nel 1882 nella piazza antistante alla Stazione per celebrare il cinquecentenario della dedizione di Trieste all’Austria. Nato nel pieno di un periodo particolarmente caldo dal punto di vista politico, la vita di questo monumento non fu facile: danneggiato già in fase di costruzione, venne fatto saltare dagli irredentisti e quindi definitivamente demolito all’indomani della grande guerra.
Ai piedi della statua di James Joyce guardando a pelo dell’acqua è possibile scorgere una scala graduata che segna il Nullpunkt o “punto zero”. Si tratta di un marometro che segna lo zero sul livello del mare. Da qui in epoca asburgica partivano tutte le misurazioni di altitudini dell’Impero.

Proseguendo verso Via Ponchielli merita una sosta il bel portale di casa Czeike, sovrastato da uno dei migliori esempi di panduro che si possono vedere in città. I panduri sono i mascheroni posti in chiave di volta dell’ingresso principale di molti palazzi del Borgo teresiano. Essi rappresentano le minacciose facce delle guardie private che i ricchi mercanti arruolavano a tutela delle loro proprietà. Il loro nome deriva dagli omonimi reparti speciali di fanteria dell’esercito asburgico, composti perlopiù da contadini serbi e romeni.
Attira senza dubbio l’attenzione la vicina Casa delle Bisse, con la sommità decorata da finti tendaggi e il portale ligneo con il grande serpente bloccato da tre aquile poco prima di riuscire a raggiungere una palla dorata che pende davanti al muso. Questo gruppo venne posizionato dopo il 1813 quando Napoleone (il serpente vorace) venne sconfitto a Lipsia da Austria, Prussia e Russia, rappresentate dalle aquile.
Un tour attento ai particolari va necessariamente concluso davanti a casa Terni Smolars in Via Dante. Qui l’occhio può solo perdersi tra le giunoniche figure che incorniciano la finestra circolare sopra l’ingresso, i balconcini in ferro battuto e quel continuo alternarsi di vuoti e pieni che caratterizza l’opera dell’architetto Romeo Depaoli.