Un vestito color carminio, le pieghe del vestito ammorbidite dall’eleganza di un passo di donna e sospinte da un movimento di gambe impreziosito da un “rapido guizzo interno”. L’inconfondibile tratto è quello apparso qualche anno fa sul manifesto della mostra che il museo Revoltella dedicò a Marcello Dudovich, nato a Trieste il primo giorno di primavera del 1878 e riconosciuto come uno dei maestri della cartellonistica novecentesca in Italia. Oggi la sua figura viene ricordata attraverso una nuova esposizione al castello di Miramare, che mette in evidenza il suo personale rapporto con le immagini fotografiche nelle iconiche “reclame” dell’epoca.
Quel rapido guizzo interno preso in prestito da “Un amore” di Dino Buzzati e capace di far rivivere Laide, la protagonista dell’opera, regala il pretesto per muoversi lungo alcune istantanee del tempo che, considerata la misteriosa autorevolezza del personaggio, rimangono pressoché sconosciute ai più.
Le oltre 300 opere in esposizione raccontano di un periodo in cui la pubblicità aleggiava ai piani alti della borghesia cittadina, nel vortice della terza rivoluzione industriale e dell’innovazione della tecnica supportate dal miglioramento di moderne strumentazioni meccaniche anche al servizio delle arti figurative. A pochi passi dal ben più celebre caffè San Marco, sprangata da un lucchetto irremovibile giace una delle “palestre” in cui Dudovich si formò. L’edificio è quello conosciuto dai triestini come la succursale dell’Istituto Volta e nel sottotetto possiede ancora oggi la soffitta della Triest K.K. Staats Gewerbeschule, scuola per capi d’arte fondata nel lontano 1887 e che l’anno successivo contava quasi 500 studenti.


Per far sì che il ricordo possa dar vita al sogno la mostra del castello di Miramare diventa tappa obbligata.

Tra gli insegnanti dell’epoca alcuni tra gli artisti triestini di maggior spicco, Carlo Wostry e Eugenio Scomparini; ad ascoltare le lezioni invece menti del calibro di Marcello Mascherini, Arturo Fitke, Romano Tominz e Piero Marussig. Proprio Marcello Dudovich avrebbe “sfruttato” i disegni che venivano realizzati dagli studenti, in virtù del bisogno di produzione seriale di illustrazioni per la cartellonistica. Un periodo aureo per Trieste, che ancora oggi ignora buona parte delle sue particolarità artistiche e culturali. La scuola per capi d’arte venne soppressa dal nuovo ordinamento imposto dal regime fascista, costringendo i nuovi talenti ad emigrare altrove, Vienna e Praga su tutte. I 700 metri quadrati erano già stati depredati durante la Prima guerra mondiale e molte delle strumentazioni utilizzate al suo interno sparirono, chissà dove e chissà perché. Il legame della fotografia di Dudovich con la cartellonistica riemerge oggi grazie alla mostra nelle scuderie del castello di Miramare anche se, la ricostruzione completa della sua storia dovrebbe imporre una visita –o l’otturatore dell’obiettivo aperto e chiuso– del terzo piano dell’edificio di via Battisti. In questo caso però le chances di rivivere l’epopea della scuola per capi d’arte, al fine di immaginarsi i maestri del tempo intenti a infondere l’ispirazione nelle menti degli studenti, sono ridotte al lumicino.

La soffitta è off limits, senza la possibilità di accedervi a causa delle precarie condizioni della struttura. La figura di Dudovich rimane di conseguenza sullo sfondo, manifesto sbiadito dalla burocrazia e dalle lancette dell’orologio che corrono impietose.
Per far sì che il ricordo possa dar vita al sogno la mostra del castello di Miramare diventa tappa obbligata per gli amanti della Storia e per chi è alla costante ricerca delle nicchie del passato.
La catena di montaggio presente all’epoca all’interno della scuola si potrebbe quindi trasformare nella diffusione della sua storia e, contestualmente, di quella dei suoi allievi e dei celebrati maestri. Trieste ha dato i natali ad uno dei maggiori artisti del Novecento ed oggi lo celebra nuovamente. Ripercorrere le tappe della sua esistenza e della sua vocazione artistica significa poter collocare, nel quadro della sua esperienza professionale, anche e soprattutto gli elementi rimasti nascosti, quelli seppelliti dal regime e che giacciono in una soffitta al terzo piano di un edificio al limitare del borgo giuseppino.